“È qualcosa di civico”: la storia di Antonella, Fabrizio e Moussa

Non lo fai per buonismo o per pura carità, è qualcosa di civico”: questo il pensiero di Antonella e Fabrizio, quando ci raccontano cosa li ha spinti ad aprire la loro casa al progetto di accoglienza in famiglia. “Tutto è nato in realtà allo scoppiare della guerra in Siria, che ha accresciuto in noi la voglia di agire, di fare qualcosa di importante. Abbiamo una casa molto grande, l’ideale per ospitare persone.”

Fabrizio e Antonella sono stati tra i primi ad accogliere grazie al Progetto Vesta: “Eravamo in dieci famiglie a seguire un corso di avvicinamento alle procedure, alle modalità di accoglienza, ma abbiamo soprattutto capito cosa volesse dire accogliere, essere aperti a culture diverse, non in maniera superficiale, ma approfondendo la loro conoscenza…”
Così è arrivato Moussa, con il quale, dopo un po’ di imbarazzo iniziale, si è creata una forte intesa.

“Il team di Vesta ha una straordinaria competenza e umanità nello scegliere e abbinare i ragazzi alle famiglie, gli abbinamenti sono stati giusti”, afferma Antonella. “Ogni ragazzo ha una famiglia con un background diverso ed è inserito quindi in un contesto diverso adatto a lui”.

L’anello di congiunzione e il punto di forza tra questa famiglia accogliente e Moussa, è stata sin dall’inizio la ricerca dell’autonomia da parte di entrambi. Moussa, oggi 21 anni, è un ragazzo dal carattere forte e indipendente e a casa di Fabrizio e Antonella ha avuto – e continua ad avere da tre anni ormai – uno spazio personale, con una cucina e un bagno propri in totale autonomia. “Sento di essere stato accolto molto bene, sono felice del percorso portato avanti con Fabrizio e Antonella, e mi sento fortunato ad avere una mia indipendenza in casa” afferma Moussa, sorridendo del fatto che a volte pur essendo nella stessa casa (praticamente divisa in due) ci si invia messaggi da una stanza all’altra. Ride con gioia perché si sente autonomo e allo stesso tempo sa quanto la sua famiglia accogliente gli abbia dato. Spera di potere conservare questa autonomia anche in futuro, quando dopo l’esperienza con Fabrizio e Antonella dovrà cercare un’altra sistemazione, e sappiamo bene quanto il tema della ricerca della casa non sia affatto semplice a Bologna.

“Certo noi abbiamo avuto questa possibilità” afferma Antonella “avendo una casa grande, non tutti la hanno, ma crediamo che sia proprio questo il senso di questo progetto per noi: accompagnare i ragazzi nel loro percorso di integrazione, nel compiere delle “scelte/non scelte” fondamentali per sé stessi, per autorealizzarsi e non solo venire qui con l’idea di fare soldi da inviare ai villaggi di origine al fine di sdebitarsi per l’aiuto ricevuto ad andar via, ma soprattutto per acquisire competenze, fare esperienza e tornare nei luoghi di appartenenza per aiutare i propri paesi a cambiare, a fare dei salti. L’obiettivo per loro dovrebbe essere quello di divenire figure importanti per la storia e la cultura del proprio paese. Ecco, noi crediamo che Moussa possa fare molto in questo senso.”

Moussa ha avuto un percorso regolare di studi, dalla scuola superiore conclusa nella metà degli anni previsti fino all’Università. Ha avuto esperienze lavorative come quella del receptionist, percorso molto duro, e ha continuato a portare avanti la sua passione per il teatro e per la musica.

Grazie alla sua famiglia è stato indirizzato verso scelte importanti, come quella di proseguire gli studi come mediatore e facilitatore (per cui è molto portato) all’Università.

“Ovviamente” fa notare Antonella “è molto difficile di fronte ad emergenze quali il permesso di soggiorno e la lenta trafila burocratica non trascurare la parte culturale e creativa della formazione, ma è proprio in questo che vediamo la forza delle azioni delle famiglie accoglienti: aiutare questi ragazzi, un po’ come si fa con i propri figli, a essere traghettati verso le proprie attitudini e inclinazioni, verso la realizzazione di sé stessi, rendendoli liberi e autonomi”.

Sul loro rapporto, ci dicono questo: “Che ci siano stati scontri, è chiaro e naturale, perché dove c’è confronto lo scontro non manca mai. Le situazioni di partenza sono complicate spesso, ma si deve tentare di comprendere la diversità, senza giudicarla a priori. I conflitti vanno gestiti. Noi rifaremmo tutto daccapo, perché la portata di questa esperienza umana è enorme, ti spiazza e ti arricchisce. All’interno dei condomini spesso non è facile ad esempio, ma è importante insistere e abbattere le barriere. Inoltre, le famiglie che hanno compiuto questa scelta hanno percorsi di vita diversi, ma nonostante ciò è stato possibile creare un gruppo coeso senza alcuna forzatura, bensì spontaneamente. Realtà molto distanti sono entrate in contatto condividendo questo percorso, e probabilmente ciò non sarebbe stato possibile altrimenti. Gli incontri di formazione sono serviti, ma è durante l’esperienza vera e propria che c’è la reale condivisione. Abbiamo sposato tutti i valori e gli obiettivi del progetto: incrociare mondi e realtà, ribellarsi rispetto a ciò che succede in quei paesi, aiutare, accogliere, cambiare le cose.”