“Praticamente il primo incontro è stato come quando vai a vedere un nuovo film. È stata una sorpresa che proprio non mi aspettavo. Mai avevo pensato ad una cosa del genere da quando sono arrivato in Italia, cioè di trovare una famiglia dove sarei andato a vivere. Con me, c’era un assistente sociale con la quale mi ero già incontrato più volte in comunità e due operatori della comunità, che erano i nostri educatori. L’assistente sociale era bravissima, per me è stata una persona che ricorderò per tutta la vita e gli educatori di comunità erano simpatici e gentili. Per me la Comunità, gli altri ragazzi, pakistani e non, erano diventati come una famiglia. All’inizio ero un po’ spaventato e imbarazzato, poi però conoscendo gli altri ragazzi e facendo tante cose con loro, piano piano mi sono sentito come a casa. In comunità con gli altri ragazzi eravamo come una grande famiglia. Quando mi hanno detto che potevo andare in una famiglia italiana, ero un po’ spaventato. Al primo incontro ero preoccupato perché non parlando bene la lingua italiana, per me era tutto diverso, tutto nuovo, non sapevo come mi dovevo comportare. All’inizio ero molto timido e non capivo tanto quando Corrado mi parlava. Comunque io rispondevo sempre di sì anche se non capivo bene! Ci siamo visti la prima volta in comunità, nell’ufficio del responsabile con gli educatori e l’assistente sociale che già conoscevo e ci siamo parlati un po’. Io però ascoltavo più che parlare e comunque rispondevo di sì. Qualche giorno dopo sono andato a casa sua, abbiamo cenato ed ero già un po’ abituato a mangiare cibo italiano. Ho visto la mia camera e tutto il resto della casa. Per me era come un sogno, non mi aspettavo di poter abitare in una casa italiana. All’inizio quando ho detto ai miei genitori che avevo la possibilità di andare a vivere con una famiglia italiana, per loro è stato un po’ strano. Forse perché si preoccupavano, non conoscendo la famiglia, di come potesse stare il loro figlio. Poi dopo avergli spiegato che sarei stato più tranquillo, che avrei imparato la lingua e sarei andato a scuola e che, in questo modo, avrei potuto cercare un futuro migliore, un po’ si sono tranquillizzati. Mia madre mi ha detto che andava bene se io me la sentivo di andare, per loro non era un problema. L’importante è che io stessi bene e che portassi rispetto alla famiglia; dovevo dimostrare di essere un bravo ragazzo e un bravo figlio. Qualche volta con la videochiamata, Corrado e mia madre si sono salutati e tramite me si scambiano i saluti. I miei genitori non parlano l’inglese e allora io traduco sempre. Ogni volta che chiamo a casa, la prima cosa che mi chiedono i miei genitori è come sta Corrado e la sua famiglia e come mi sto comportando con loro. Mi dicono anche che sono stato molto fortunato di avere due famiglie. Un periodo molto importante per la mia vita è proprio il tempo che ho vissuto con la famiglia di Corrado. Ho imparato tantissimo e se iniziassi a raccontare tutto, ci vorrebbe una vita. Tra i più bei ricordi c’è una gita a Venezia che è stata spettacolare. Anche tutti i compleanni dove ho ricevuto dei regali da parte dei nonni, i genitori di Corrado. Tutto quello che ho ricevuto, mi è rimasto nel cuore. Spero che un giorno tutto quello che ho ricevuto io lo posso ridare il doppio. Abitare in famiglia mi ha aiutato molto, sia per le cose che ho fatto, la patente, la licenza media, ma anche perché ho imparato un sacco di cose. Parlare e abitare con la mia famiglia italiana mi ha insegnato come muovermi e come parlare con le persone, l’educazione e il rispetto. Ero un ragazzo di 15 anni quando sono partito, tutto ciò che ho imparato, tutto ciò che ho fatto, lo devo anche alla mia nuova famiglia. Corrado, mi ha fatto proprio da padre, dandomi consigli e dicendomi cosa avrebbe fatto al mio posto, dicendomi cosa è buono per me e cosa sarebbe male. Tutto ciò che mi ha fatto imparare non lo dimenticherò mai. Ed oggi se sono come sono è grazie al progetto welcome e alla famiglia che mi ha preso in casa.”
Afnan