“LE RADICI SONO IMPORTANTI”: IL RAPPORTO CON LA FAMIGLIA DI ORIGINE NEGLI AFFIDI FAMILIARI DI MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI

Nei progetti di affido familiare dei minori stranieri non accompagnati, che si trovano quindi sul territorio senza adulti di riferimento, la famiglia di origine può sembrare una presenza lontana, invisibile nello spazio condiviso. Differentemente da quanto possa apparire in superficie, possiamo spesso pensare alla sua rete di affetti e relazioni nel paese di origine come una presenza “distante ma vicina”.

Vi riportiamo di seguito le parole di Ermanno e Laura, una famiglia affidataria che ha iniziato il proprio percorso ormai da diversi anni. Il racconto parla di affetti, di crescita e di genitorialità condivisa, con una indiscrezione su come hanno passato le scorse vacanze.

Della famiglia di origine sapevamo poco: Enea non raccontava molto, però sapevamo che telefonava spesso a casa perché si chiudeva fuori in balcone anche d’inverno e parlava in albanese, naturalmente con il tono di un adolescente che risponde alle solite domande della mamma. Gli operatori ci avevano sollecitato ad entrare in contatto con i suoi genitori, ma la difficoltà della lingua e anche la nostra poca spontaneità nelle videochiamate ci ha fatto rinunciare. La sua mamma è comunque stata sempre presente nei nostri discorsi, ci tenevamo che le raccontasse come andava a scuola, cosa faceva con noi e con gli amici, i successi e gli insuccessi sportivi, le facevamo chiedere indicazioni per un piatto albanese che provavamo fare e piano piano ci siamo accorti che anche Enea parlava di noi, di come eravamo. La sorpresa più grande è stata quando per il secondo Natale insieme ad Enea abbiamo spedito un pacco con dentro anche un libro di foto, e lei ce ne ha mandato uno con un formaggio appositamente per Ermanno. Non avremmo mai pensato di conoscerla, invece dopo ormai sei anni Enea e la sua mamma ci hanno invitato in Albania per questo Capodanno, e noi ci andremo tutti, fidanzate “zii e cugini” compresi. Una cosa ci era molto chiara e ci dava non poca ansia: la scadenza del progetto, una fine che non coincideva necessariamente con il conseguimento di un obiettivo, ma con il compimento dei 18 anni. Ci sembrava di non poter perdere neppure un minuto, perché Enea non sarebbe tornato nella sua famiglia, ma avrebbe dovuto autonomamente vivere nel mondo. Per noi, con due figli più grandi, erano fin troppo chiare le difficolta di trovare un lavoro stabile e mantenere un alloggio, ma per Enea a questo si aggiungeva la necessità di avere anche altre relazioni oltre ai suoi amici albanesi, altri interessi perché il tutto non poteva essere ridotto a guadagnare, spendere e mandare soldi a casa. Da una parte lo abbiamo stimolato a vedere la bellezza e la soddisfazione che dà un lavoro fatto bene, lo abbiamo spinto a studiare per prendere la patente, a gestire i suoi documenti e quando ha guadagnato i primi soldi, ad aprire un conto corrente perché questo e altro lo avrebbero aiutato nella vita autonoma. D’altra parte abbiamo subito chiarito che la scadenza non sarebbe stata tassativa, e così Enea è rimasto con noi ancora un altro anno: non è stato un tempo sempre facile, perché restare significava stare in famiglia e non in albergo, e questo a volte veniva dimenticato (in realtà “questa casa non è un albergo” lo abbiamo detto molte volte anche ai nostri figli).
Poi è arrivato il giorno dell’uscita di casa: una domenica, dopo aver pranzato tutti insieme, ha preso le sue borse, ci ha salutato, e voleva lasciarci le chiavi: in quel momento di grande emozione, gli abbiamo detto di tenerle, perché questa sarebbe stata per sempre la sua casa, e così è stato.