Vesta nel racconto di una famiglia a IT.A.CA’

Rita Brugnara, che assieme alla sua famiglia sta accogliendo Ismail nell’ambito del progetto Vesta, è intervenuta portando la sua esperienza all’incontro “Sharing è sostenibile!” all’interno del Festival del Turismo Responsabile IT.A.CA’ – Migranti a Viaggiatori di Bologna.

Di seguito riportiamo il suo racconto.
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Storie di straordinaria quotidianità

Ismail ha 18 anni. E’ del Benin e di lui conosciamo la sua vita a grandi linee. Anche se viviamo insieme già da tanto tempo, da ottobre dell’altro anno.
Perché grandi linee? Perché la sua vita è fatta di un prima e di un dopo. Prima quando aveva la famiglia e poi quando a 11 anni l’ha perduta e ha intrapreso strade che alla fine l’hanno portato dalla Libia a Lampedusa e poi a Bologna.

La sua infanzia era felice e molto simile alla nostra. Il padre non voleva andasse al fiume che scorreva nel villaggio perché Ismail non sapeva nuotare. La stessa raccomandazione che era di mia madre che mi impediva di raggiungere il fiume per le stesse ragioni.
Un’infanzia felice si può raccontare e allora so di lui che è hausà che sulla fronte ha una piccola cicatrice che è il segno distintivo della sua tribù, che frequentava la scuola coranica da quando aveva 3 anni e che nella scuola privata dove si parlava il francese erano 50 ragazzini.
Racconti attorno all’atlante di casa, anche google earth certo ma Ismail preferisce la carta.

La solitudine dopo la morte del padre e l’abbandono della madre però non si condividono. Certo, alcune informazioni si. Ismail che con un amico più grande decide di lasciare il Benin per raggiungere la Libia dove c’è lavoro. La paura delle bombe, la fame ma niente dettagli.
Gli ho chiesto più volte se con i suoi amici condivide i ricordi. No mai, viviamo il presente, ci raccontiamo cosa ci succede ora.

Ho imparato a rispettare il suo riserbo. Ho imparato tante cose ovviamente. Il suo senso del tempo molto diverso dal mio, il colore della sua pelle che diventa più o meno blu a seconda che sia imbarazzato o arrabbiato o preoccupato. La sua ricerca consapevole di autostima. Mi sento come un leone. Ce la posso fare ha scritto nel diario che non so se tiene più.
Ora c’è confidenza. Lavora, fa il corso di italiano e sta cercando casa con italiani.

E’ un’esperienza che sono felice di condividere perché:
– ti consente di vivere da dentro la tematica dei rifugiati e capirne la complessità. Le Istituzioni hanno il compito di far fronte a migliaia di persone che raggiungono il nostro paese ma penso che la comunità, le comunità debbano mettersi in gioco. In questo caso per comunità intendo i cittadini, famiglie, giovani, single che poi sono il target del progetto Vesta.

E’ un’esperienza che avvicina alla politica, all’impegno civile. Per me sono sinonimi. Alla politica buona, sostenibile che cerca nelle persone partecipazione. Il progetto Vesta non coinvolge volontari, ma persone che sottoscrivono un contratto che prevede un impegno, delle regole, un compenso in denaro.

E’ un’esperienza che ha il colore della contemporaneità. Con un rifugiato in casa è un po’ come essere a Lampedusa o nell’isola di Lesbo. Gli artisti vanno li per toccare con mano la compassione e tradurla in arte. E’stimolo per far spazio nel proprio quotidiano all’altro, a chi è in condizioni meno fortunate delle tue.

E’ un’esperienza che non ti fa sentire né più bravo né più buono. E’ un’esperienza da protagonisti che insegna a credere nelle missioni impossibili. Lavorare nella relazione con l’altro che ha pochi strumenti, che parla male la tua lingua, che naviga a vista da senso all’esperienza e fa ripercorrere i privilegi che hai. I diritti ad esempio. Ismail ne ha  imparati tanti, sempre sorprendendosi.